La Regione si era impegnata a metterci la faccia, e anche i soldi, dato che con la faccia non si pagano i debiti e neppure i dipendenti e tutto ciò che serve per avviare e far funzionare l’impianto per il trattamento dei rifiuti di Tossilo fino a quando non sarà in grado di autofinanziarsi e produrre utili.
Invece pare che non sia arrivato il becco di un quattrino, per cui tutto è fermo e sembra quasi che il tempo si sia fermato ai primi di ottobre, quando il Tribunale congelò la procedura fallimentare dopo aver valutato positivamente il piano di rientro dei debiti presentato dai legali della società.
Per cadere in piedi servono sei milioni di euro, a tanto ammonta il passivo della società, che ormai non riesce a pagare neppure gli stipendi dei trenta dipendenti. Ai quali sono state pagate solo in parte le competenze arretrate, mentre non hanno ancora ricevuto un centesimo della busta paga di novembre ed è in forse anche il pagamento di quella di dicembre oltre che della tredicesima mensilità.
L’assurdo è che un impianto in grado di produrre ricchezza navighi invece in una palude melmosa di debiti e di situazioni irrisolte dalla quale non riesce a venire fuori.
Il Tribunale a fine gennaio renderà nota la decisione definitiva sul piano di risanamento della società che dovrebbe evitarne la messa in liquidazione, ma la situazione resta incerta e confusa.
Detto in termini più più espliciti, il sistema non parte perché non si sono i soldi per farlo partire.
Oltre a chiudere la partita dei debiti, che nel tempo potrebbero essere pagati anche con le entrate della società (la Tossilo Spa della quale la Regione è sotto certi aspetti socio di maggioranza attraverso il Consorzio industriale che ha commissariato dal 2016), i soldi servono per pagare gli stipendi di chi lavora nell’impianto e per ottenere le autorizzazioni necessarie a iniziare il processo di avvio del nuovo termovalorizzatore.
La preoccupazione dei lavoratori è anche che a fine anno l’azienda possa licenziarli. L’impianto fermo genera solo perdite, ma alla Regione sembra non lo capiscano.
L’assurdo è che per renderlo sicuro ed efficiente negli anni scorsi sono stati investiti 50 milioni di euro. E così il territorio si avvia a perdere l’importante occasione di creare nel centro Sardegna un importante polo di gestione dei rifiuti, che nei vari processi di recupero e lavorazione dei materiali provenienti dalla raccolta, chiudeva il ciclo con la termovalorizzazione della parte minima residua per la quale allo stato attuale delle conoscenze non esiste possibilità di trasformazione in prospettiva di un riutilizzo. Mentre a Macomer tutto è fermo, in altre zone della Sardegna si iniziano a cogliere le opportunità offerte dalla lavorazione dei rifiuti e nel centro Sardegna rischia di rimanere solo la parte povera del processo.