Casa di comunità, Centro operativo territoriale e ampliamento della Rsa. I primi due sarebbero la novità, il terzo era in conto da anni.
Il direttore generale dell’Asl di Nuoro, Paolo Cannas ne ha annunciato la realizzazione al sindaco di Macomer e al presidente del distretto socio-sanitario nel corso di un incontro all’inizio di agosto. L’ampliamento della Rsa, che raddoppia passando da 40 a 80 posti letto, era in conto da tempo, praticamente da quando è nata.
Mancano al territorio ancora i posti di hospice per le cure palliative dei malati terminali di cui, purtroppo, c’è enorme e urgente necessità anche in questa zona.
La Casa di comunità e il Centro operativo territoriale (Cot usando il brutto acronimo della burocrazia sanitaria regionale) sarebbero invece le novità.
La sensazione è che siano solo un bel vestito. Sotto il vestito niente!
In tutti sensi.
Le Case della Comunità, come previsto dalla normativa nazionale, sono le «nuove strutture socio-sanitarie che raccolgono in un unico spazio i servizi di medicina specialistica (anche attraverso la telemedicina), l’assistenza primaria (con i medici di famiglia e i pediatri di libera scelta, che continueranno a operare anche attraverso i propri ambulatori) e l’assistenza infermieristica. Ma al suo interno i cittadini potranno trovare anche l’assistenza sociale, lo psicologo e altri professionisti della salute, come, ad esempio, l’Ostetrica di Comunità». In pratica, dovrebbero coordinare la gestione e l’accesso a quello che non c’è. Il distretto sanitario di Macomer, che un tempo offriva una vasta gamma di servizi a un bacino d’utenza che si estendeva oltre il Marghine, è stato praticamente spolpato. Anche per questo le strutture private si moltiplicano, e anche i costi per l’utenza. Chi può paga, chi no spera in Dio, o va dallo sciamano.
«Le Centrali Operative Territoriali (COT) sono strutture chiave nell’organizzazione e nella gestione delle risorse sanitarie a livello territoriale. La loro implementazione (sic!) risponde alla necessità di realizzare un modello di assistenza che diminuisca la distanza tra i cittadini che necessitano di percorsi di cura e prevenzione, e le strutture sanitarie».
La definizione, contenuta in un documento del Ministero della Sanità, se calata nella realtà di Macomer fa ridere, invece c’è da piangere.
«Nell’ottica di garantire una sanità più vicina alle persone, con standard qualitativi in linea con le best practice europee (bastava dire: le migliori pratiche e l’avrebbero capito tutti, ma forse il problema era questo), la Riforma dell’assistenza territoriale prevista dal PNRR definisce un nuovo modello organizzativo della rete di assistenza basata: sul potenziamento dell’assistenza domiciliare, anche grazie all’impiego della telemedicina (quali?); sulla realizzazione di nuove strutture e presidi sanitari sul territorio che migliorano l’accessibilità e ampliano la disponibilità di servizi di prossimità ai cittadini (basterebbe riaprire quelli che c’erano una volta); sulla definizione di un nuovo assetto istituzionale per la prevenzione sul territorio in ambito sanitario». Per la sanità nel Marghine è come rivestire una vecchia scatola vuota con la stagnola dei cioccolatini incartando il nulla con un involucro appariscente. Anche per questo lascia interdetti la soddisfazione con la quale è stato accolto l’annuncio.